Sa’ femina accabadora

Fino a qualche decennio fa , in Sardegna si praticava una forma rudimentale di eutanasia per mano di un’inquietante figura di donna chiamata ” sa’ femmina accabadora”( la donna che finisce) .
“Acabar” in spagnolo significa finire e l’accabadora proprio questo compito aveva : finire le persone in agonia oppure allo stadio terminale di una malattia.
Veniva chiamata dai parenti del moribondo e si presentava, in piena notte, vestita di nero e con il volto coperto.
Faceva allontanare tutti i presenti, chiudeva la camera e la liberava di ogni immagine sacra poiché la loro presenza avrebbe impedito l’anima del malato a staccarsi dal corpo…
Il malato appena la vedeva arrivare capiva che la sua fine era giunta .
Infatti, sapeva che da lì a poco sarebbe morto soffocato da un cuscino oppure con un colpo secco dato sulla fronte, nella zona parietale, con un martello di legno d’ulivo.
Una volta svolto il suo compito l’accabadora andava via in punta di piedi, accompagnata dalla gratitudine dei parenti e ricompensata con prodotti della terra.
Molto spesso questo ruolo veniva svolto dalla levatrice del paese, che vestiva di bianco quando si recava a dare la vita e di nero quando andava a dare la morte.
Oggi questa figura è del tutto scomparsa fin dagli anni 50 e ancora nelle famiglie se ne tramanda il ricordo.

” Il gesto dell’accabadora non viene mai ricordato come quello di un’assassina, bensì come il gesto amorevole e pietoso di chi aiuta
il destino a compiersi.
Perché è l’ultima madre”.

Michela Murgia

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